Baccalà mantecato: l’eccellenza norvegese a Padova

Il baccalà mantecato è uno dei piatti veneti più tipici. È immancabile tra i cicchetti, stuzzichini serviti dai bacari, le caratteristiche osterie veneziane. Su un crostino di polenta abbrustolita e accompagnato da un buon bicchiere di vino, è una delizia unica.

Baccalà Mantecato Classico in Vasetto - 90gr

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Questo fantastico baccalà mantecato può essere servito così com’è, ovvero come una crema spalmabile su taralli, fette di polenta e bruschette o per condire pasta, gnocchi o risotti. La famiglia Marcolin, dell’omonima gastronomia con sede a Padova, ha fatto dello stoccafisso-baccalà uno dei punti di forza della sua cucina e Stefano ha saputo interpretarlo in chiave moderna con prodotti gourmet in vasetto da gustare in ogni momento. Infatti, il loro baccalà mantecato, cremoso e saporito, è realizzato ancora oggi secondo la tradizionale ricetta di famiglia utilizzando il miglior stoccafisso - il Gadus Morhua - scelto personalmente da Stefano ogni anno nelle isole Lofoten, in Norvegia. Ma qual è la differenza tra stoccafisso e baccalà? Il pesce è lo stesso – il merluzzo – trattato però in maniera diversa: il primo essiccato, mentre il baccalà è il merluzzo conservato sotto sale. In Veneto, lo stoccafisso è da secoli uno dei piatti tradizionali. Un prodotto entrato in Italia a metà del Quindicesimo secolo e da allora interpretato per esaltare al massimo la sua carne bianca e pregiata. Un pesce ad alto valore nutrizionale e adatto a molte preparazioni culinarie: tra le più rinomate spicca il baccalà mantecato. Ottimo con: Taralli Polenta grigliata
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Curiosità

Come si fa il baccalà mantecato?

Baccalà, olio, aglio, alloro, limone, sale e pepe: gli ingredienti sono solo questi. Qualcuno aggiunge un goccio di latte per renderlo ancora più cremoso, ma in realtà non ci andrebbe proprio.

Lo stoccafisso, ammollato per almeno 48 ore e diliscato, viene lessato in acqua fredda poco salata. Una volta che è morbido e tenero (si capisce perché inizia a sfaldarsi), viene scolato e mantecato con il limone, l’aglio e l’alloro. L’olio va aggiunto a filo, piano piano, per permettere alla preparazione di montare come fosse una maionese. Alla fine si aggiusta di sale e pepe e si serve.

La ricetta tradizionale vieta frullatori e attrezzi vari: il baccalà si manteca a mano con un cucchiaio di legno. Poi, diciamocelo, la planetaria è un’ottima alleata in questi casi, ma la consistenza ottenuta è effettivamente diversa. Cambia poco, ma cambia, e se vogliamo un baccalà mantecato super tradizionale, armiamoci di pazienza e iniziamo a far lavorare i muscoli.

Il baccalà mantecato è spumoso, spalmabile, non è una vera e propria crema ma simile. È una nuvola di gusto. Va lavorato al punto giusto, per renderlo soffice ma non sfatto, liscio e vellutato senza risultare pastoso in bocca.

Per quanto riguarda la grana dei pezzetti, sta un po’ al gusto personale. Qualcuno lascia dei pezzettini più consistenti, qualcun altro lo rende completamente omogeneo. In ogni caso, un piatto eccezionale.

 

Baccalà o stoccafisso?

Chiariamo subito la questione linguistica.

Stoccafisso: il termine deriva dalle lingue scandinave e germaniche, da stock bastone e fish o vish pesce

Baccalà: appartiene alle lingue romanze, pensiamo solo al bacalhau portoghese. Viene dal latino baculus, ovvero bastone.

Lo stoccafisso e il baccalà sono due diverse preparazioni del merluzzo. Per lo stoccafisso il pesce viene essiccato all’aperto, al sole e al vento e rimane tre mesi sulle rastrelliere. Il baccalà invece si fa tramite un processo di salatura che dura tre settimane.

Il baccalà mantecato si fa in realtà con lo stoccafisso. La confusione nasce dal fatto che in Italia si utilizzava già il termine baccalà quando è stato introdotto lo stoccafisso. Il nome è rimasto quello, ma il prodotto è ben altra cosa.

 

Storia di una delizia che viene da lontano

A Venezia è il re dei cicchetti, ma non è nato in laguna. La sua terra di origine è un po’ (un bel po’) più a nord. Ma andiamo con ordine. 

Anno di grazia 1432. Il mercante veneziano Pietro Querini parte con un mercantile per commerciare alle Fiandre, ma una tempesta lo fa naufragare alle Lofoten, più precisamente nell’isola più a sud dell’arcipelago norvegese, Røst.

Una volta riprese le forze, il buon Querini inizia a osservare usi e costumi di queste popolazioni e nota subito che la loro dieta è costituita in gran parte da un singolo tipo di pesce. Non che oltre il Circolo Polare Artico ci sia poi molta varietà, ma il mercante veneziano ci aveva visto giusto.

Querini ci dice che questi pesci, chiamati stocfisi, venivano fatti seccare al vento e al sole, senza utilizzo di sale. La carne si indurisce perché si disidrata completamente, perde infatti circa il 70% del proprio peso e diventa, per l’appunto, dura come un bastone.

Quando poi li volevano consumare, i pescatori norvegesi dovevano batterli con un remo di legno per ricavarne dei tranci, che poi venivano sfilacciati e serviti con burro e spezie. L’origine del baccalà mantecato è proprio questa, e anche se l’abbiamo raffinata un po’ e gli osti veneziani non vanno in giro armati di remo, il principio è questo.

Il pesce di cui parla Querini è il Merluzzo artico (Gadus Morhua), che può raggiungere anche i due metri di lunghezza e i 90 chili di peso. La lavorazione tradizionale è rimasta identica, e ancora oggi alle Lofoten il pesce appena pescato viene pulito, decapitato, aperto in due e quindi messo ad asciugare sulle apposite rastrelliere.

Querini ripartì poi alla volta di Venezia, con la stiva piena di pesce essiccato. Non fu un successo immediato, anche perché in laguna non si sentiva certo la necessità di altro pesce.

Il vantaggio dello stoccafisso però è che si può conservare anche per mesi ed è stato questo fattore a renderlo il cibo perfetto dei navigatori. Un alimento super nutriente, facilmente trasportabile e non deperibile, l’ideale insomma per i lunghi viaggi in mare.

Per avere un riconoscimento ufficiale di questo piatto dobbiamo però aspettare più di un secolo. Il Concilio di Trento, convocato per reagire alla diffusione della Riforma Protestante in Europa, termina nel 1563 dopo ben 18 anni dalla prima assemblea. Viene stabilito in via ufficiale il divieto alla carne per 200 giorni, tra venerdì, vigilie e Quaresime.

I piatti di magro, o di precetto, diventano quindi fondamentali. I giorni sono tanti e i fedeli anche, e non tutti si possono permettere il pesce fresco. Ed ecco che il baccalà diventa il cibo perfetto per sfamare anche i devoti più poveri.

Bartolomeo Scappi (1500-1577), cuoco di Pio V, pubblicò il più grande trattato di cucina del tempo e, tra le mille e più ricette, troviamo anche quella del Baccalà mantecato. La consacrazione definitiva.

Pellegrino Artusi ne “La Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” del 1891 aggiunge “Il baccalà trattato in codesta maniera perde la sua natura triviale e diventa gentile in modo da poter figurare, come principio o trasmesso, in una tavola signorile”.

È una strada lunga quella che ha portato il baccalà mantecato fino a noi. Da alimento di sopravvivenza dei popoli nordici, a piatto di magro per le masse a delizia dei nobili.

La gastronomia Marcolin, attiva dal 1985, ha creato la linea di prodotti BaccalàBaccalà mantecato classico, alle olive, al tartufo o al peperoncino: quattro delizie da spalmare su pane o polenta. Solo il miglior merluzzo atlantico è utilizzato per queste preparazioni e la ricetta è ancora quella tradizionale.

Se volete assaggiare il miglior baccalà mantecato in circolazione, ricordatevi questo nome. Questi vasetti racchiudono tutto il gusto del pesce e della storia di questa preparazione ormai leggendaria.