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Pici
Pici toscani
Dall’enciclopedia Treccani “Pici: tipo di pasta di acqua e farina, tirata a mano, simile agli spaghetti ma più morbidi, condita tradizionalmente con olio, aglio o pane sbriciolato, piatto tipico della zona senese.” E fin qui ci siamo.
Ma se parliamo di pici toscani dobbiamo parlare della cucina povera toscana, di tutte quelle preparazioni contadine nate dalla necessità che sono poi diventate le pietre miliari di una tradizione culinaria. Fa parte della stessa logica il riutilizzo del pane vecchio per piatti di recupero. E così come quello ha dato origine ad alcuni tra i piatti simboli della Toscana (panzanella, pappa al pomodoro, ribollita), così l’umile impasto di farina e acqua ha creato un tipo di pasta fresca assolutamente eccezionale.
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Quando si parla dei pici, elencarne semplicemente le caratteristiche non basta. Se diciamo, ad esempio, che questa pasta è lunga 20 centimetri, cilindrica, con un diametro di circa 3 millimetri, duttile e ruvida al tatto, abbiamo detto poco o nulla.
Quello che definisce davvero i pici è il carattere: non è un alimento delicato e raffinato. È la pasta ideale per sughi robusti, decisi, tradizionali. Sapore schietto e genuino, senza troppi fronzoli.
I pici toscani danno una soddisfazione incredibile perché sono corposi, sostanziosi, una forchettata di godimento puro.
Solo a mano
I pici si fanno rigorosamente a mano, uno per uno. Questa è la differenza principale tra pici e bigoli, tipici di Veneto e Lombardia, che invece sono trafilati in torchi in bronzo.
Una volta che l’impasto ha riposato, va steso a sfoglia alta circa un centimetro, che poi sarà tagliata in sottili striscioline. A questo punto ogni picio viene lavorato tra le mani per renderlo liscio, sottile e uniforme.
È una procedura che richiede tempo e pazienza e non ci saranno mai due pici esattamente identici. Siamo all’opposto della produzione meccanizzata, in cui tutto è veloce, identico, in serie. Ma il bello dei pici è proprio questo, quello che gustiamo è il sapere artigianale toscano, che sa come fare bene le cose buone.
Uova sì o no?
Tradizione vuole che nell’impasto dei pici non ci siano le uova. Ovvio: l’uovo era troppo prezioso per “sprecarlo” nella pasta. Si faceva con quello che c’era, un po’ di farina, l’acqua del pozzo e un pizzico di sale. E le mani buone a impastare, per quelle davvero non c’è prezzo.
Adesso molti produttori scelgono di aggiungere uova all’impasto, per renderlo più morbido ed elastico. Dipende anche dalla zona geografica, ad esempio nel Valdarno i pici prendono il nome di lunghetti e sono, effettivamente, ricchi di uova.
Identità toscana
Ma aldilà dei nomi diversi e delle piccole modifiche, sempre di loro stiamo parlando. I pici, diffusi in tutta la Toscana, sono tipici del territorio tra la Val di Chiana, la Val d’Orcia e il confine con Umbria a est e Lazio a sud. Sono nati qui ma si sono diffusi velocemente in tutta la regione e si sono adattati ai condimenti più tipici di ogni zona, vedremo poi quali sono i migliori.
Come premio per la loro “toscanità”, i pici sono stati inclusi nella lista dei PAT (Prodotti Agroalimentari Tradizionali). Sono riconosciuti dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali quando sono “ottenuti con metodi di lavorazione, conservazione e stagionatura consolidati nel tempo, omogeni per tutto il territorio interessato, secondo regole tradizionali, per un periodo non inferiore ai venticinque anni.”
Per quanto riguarda i pici, altro che venticinque anni! Sebbene sia difficile risalire all’esatta nascita, abbiamo ottimi motivi per credere che i pici esistessero già al tempo degli Etruschi.
La prima testimonianza risale al 473 a.C. Siamo a Tarquinia, nella Tomba dei Leopardi, dichiarata nel 2004 Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. Sono rappresentate scene di un simposio e i servi stanno portando a tavola ciotole piene di pasta lunga e irregolare. Che siano proprio pici?
E poi, da dove viene questo nome? Le ipotesi sono diverse, c’è chi dice da San Felice in Picis, località dell’aretino in cui forse erano particolarmente apprezzati, chi dal gesto stesso che si fa con le mani quando si lavorano. I pici si appicciano. A forza di essere appicciata, si vede che questa pasta si è conquistata il nome di picio.
I migliori condimenti per i pici toscani
Pici all’Aglione. Il più comune, diffuso soprattutto a Siena e in Val di Chiana. Com’è evidente già dal nome, non è un condimento per i palati più delicati, ma se fatto bene è veramente piacevole, fresco e per nulla pesante. Le dosi variano molto, diciamo però che in media la proporzione aglio - pomodori è di 1 a 1.
Pici alle Briciole. Ritorna il leitmotiv del cibo di recupero: il pane avanzato si trasforma in briciole da saltare con olio e, volendo, un po’ di peperoncino. È la versione di Montepulciano, e funziona soprattutto per il contrasto di consistenze, “cicciosa” la pasta e croccante il condimento.
Pici al ragù. Un po’ ovunque, in realtà. Poi, in base alle zone, i pici si possono adattare e farsi avvolgere da ragù di cinghiale, di nana (anatra), di piccione, e via dicendo.
Pici ai funghi. Il piatto più buono dell’autunno. Buono, sostanzioso, saporito, riempie la pancia e il cuore.
Pici cacio e pepe. Gli influssi laziali sono evidenti in questo piatto. Anche qui, un primo più che sostanzioso, ricco, goloso, bello forte e sapido.
I pici sono la pasta fresca toscana per eccellenza. Sono il simbolo della cucina povera tradizionale e contadina, ma adesso li amano tutti. È bello quando qualcosa che accomuna riesce anche a declinarsi in infinite varianti senza perdere la sua identità. I pici sono esattamente così, si mangiano in modi diversi in posti diversi, ma si mangiano sempre volentieri.