Oggi parliamo dei capperi di Pantelleria, piccoli ma ricchissimi di sapore. Ma c’è di più, scopriremo anche cucunci, tenerumi e il capperificio che porta la tradizione pantesca nel mondo. Pronti a partire?
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Storia e produzione del Taleggio DOP
Il taleggio è un formaggio a pasta cruda di latte vaccino. Le forme sono parallelepipedi con un’altezza di 18-20 centimetri e un peso compreso tra 1,7 e 2,2 chili. La crosta è cedevole e ha una particolare colorazione tendente al rosa, dovuta all’azione della microflora superficiale.
La pasta, compatta e priva di occhiatura, è più morbida sotto la crosta, mentre avvicinandosi al cuore della forma acquista struttura. Il colore è bianco, tendente al paglierino. L’odore rende questo formaggio immediatamente riconoscibile, e si percepiscono tutti i profumi del latte.
Il gusto non è certo da meno. Il taleggio ha un sapore dolce ma aromatico a media persistenza, con un eccellente retrogusto tartufato. Vediamo più da vicino questo prodotto d’eccellenza, per capire la sua storia e gustarlo al meglio.
Storia del taleggio
Partiamo dal nome, che indica poi la sua origine. La Val Taleggio è una valle lombarda tra Bergamo e Lecco. Qui, dall’Alto Medioevo, si produce questo formaggio, nato dalla necessità di conservare il latte in eccesso e dall’intuizione di sfruttare le grotte presenti nella valle. Il risultato era un formaggio molle che veniva chiamato genericamente “stracchino”, per indicare la qualità del latte strach, stanco, perché era quello della mungitura serale quando le mucche tonavano dai pascoli stanche, per l’appunto.
Il termine è molto vago e comprende in realtà una quantità di formaggi tipici delle valli lombarde. Tra questi, il taleggio è stato a lungo consumato e apprezzato, ma senza alcun riconoscimento ufficiale.
Solo agli inizi del Novecento il taleggio acquista un suo nome e una sua dignità. I casari della Val Taleggio avevano capito che questo formaggio era una perla rara e ci avevano visto lungo, perché dal momento in cui iniziarono a riconoscerlo come prodotto a sé, la sua è stata una storia di successo. Gran parte di questo successo lo dobbiamo al ristoratore Amilcare Arrigoni.
Nato a Olda in val Taleggio, Amilcare decise di tentar fortuna all’estero, in Francia per l’esattezza. Quando rientrò in Italia, decise di continuare con la ristorazione e, soprattutto, di promuovere questo prodotto eccezionale della sua terra. Ha fatto conoscere il Taleggio e ha dato nuovo slancio alla sua valle. Da qui in poi, la strada è stata tutta in discesa.
Nel 1944 viene emanato un Decreto Ministeriale che stabilisce la percentuale minima di grasso per ogni formaggio. Per la prima volta si usa il termine “Taleggio” in una comunicazione legislativa e da questo momento il nome viene riconosciuto in via ufficiale.
Nel 1951 si riunisce a Stresa la “Convenzione internazionale sull’uso delle designazioni d’origine e delle denominazioni dei formaggi”. Austria, Belgio, Francia, Italia, Olanda e Svizzera stipulano una sorta di patto con l’obiettivo di creare una regolamentazione ufficiale e unitaria per l’industria casearia, definendo quindi le designazioni d’origine e le denominazioni.
Nel 1954 il Decreto 125 stabilisce le norme per la Tutela delle Denominazioni di Origine e Tipiche dei formaggi. Nel 1955 il Decreto 1269 del Presidente della Repubblica definisce e distingue le Denominazioni di Origine e le Denominazioni Tipiche. Le prime sono bene o male le antecedenti delle DOP, mentre le seconde sono su scala nazionale e riguardano in particolare i metodi della tecnica di produzione. Il taleggio, inspiegabilmente, viene inserito nella seconda categoria e riceverà il riconoscimento di Denominazione di Origine Protetta solo nel 1996.
Nel frattempo, nel 1979, nasce a Crema il Consorzio per la Tutela del Taleggio, che svolge attività di tutela e promozione. Oltre all’assistenza tecnica ai caseifici e all’attività di ricerca, il Consorzio collabora con l’Ispettorato Centrale della Qualità e Repressione Frodi dei prodotti Agroalimentari, l’organo di controllo ufficiale del Ministero delle politiche agricole e forestali. Ad oggi il Consorzio conta 25 caseifici e 21 stagionatori.
Nel 1988 il Taleggio è stato riconosciuto come formaggio a Denominazione di Origine Controllata, etichetta che prevede un territorio selezionato e un disciplinare di produzione, poi sostituita dalle attuali DOP.
Nel 1994 il Consorzio ha richiesto in via ufficiale il riconoscimento della DOP al Ministero dell’Agricoltura, permesso poi accordato nel giugno 1996. Da questa data il Taleggio è un prodotto a Denominazione di Origine Protetta: tutte le fasi, dalla produzione della materia prima alla lavorazione e infine al confezionamento devono seguire il disciplinare di produzione e avvenire solo nel territorio ammesso, in questo caso le province di Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Lecco, Lodi, Milano, Monza, Pavia, Novara, Verbano e Treviso.
Vengono fissati anche gli standard per il marchio: 4 cerchi su due righe, quello in basso a sinistra deve riportare il numero del caseificio di produzione, sugli altri tre ci deve essere la T che identifica e garantisce il vero Taleggio DOP
Come si fa il taleggio?
Il taleggio ha ricevuto la Denominazione di Origine Protetta e quindi la materia prima, il latte, deve provenire unicamente da vacche allevate nelle province ammesse dal disciplinare di produzione. Dopo la mungitura, il latte viene raccolto e inizia la lavorazione.
La prima fase è la coagulazione. Il latte viene riscaldato a una temperatura massima di 35° e, una volta aggiunto l’innesto e il caglio liquido di vitello, si inizia a separare la cagliata dal siero. Il passaggio successivo è la rottura della cagliata, che si fa in due tempi per ottenere una pasta dalla consistenza ottimale. Dopodiché si passa all’estrazione della cagliata, che viene sistemata in stampi leggermente inclinati per eliminare tutto il siero in eccedenza.
Siamo al momento della stufatura, un passaggio fondamentale per la buona riuscita del prodotto finito. Serve a eliminare tutto il siero residuo, far maturare il formaggio in consistenza e far acidificare al punto giusto la pasta. La stufatura dura dalle 8 alle 16 ore e avviene in celle a temperatura controllata tra i 22 e i 25 e umidità prossima al 90%. Durante tutta questa fase la forma di Taleggio viene regolarmente rivoltata per far acquistare consistenza alla pasta e poi si passa alla marchiatura.
Il marchio è il segno di riconoscimento del Taleggio Dop e viene apposto sulla faccia superiore di ogni forma. Siamo alla salatura, che serve a formare la crosta e a dare sapore al formaggio. Il disciplinare di produzione ammette due sistemi per la salatura: a secco, ovvero cospargendo la forma di sale grosso, oppure tramite immersione in salamoia, che è il metodo industriale più utilizzato.
A questo punto le forme sono pronte per la stagionatura, per cui si cercano di ricreare le condizioni tipiche della tradizionale maturazione in grotta. Le celle devono essere fredde (tra i 2° e i 6°) ma soprattutto umide. Il livello di umidità ideale è compreso tra l’85 e il 90% per permettere lo sviluppo della muffa superficiale che dona alla crosta la sua caratteristica colorazione rosata.
Durante la fase della stagionatura le forme vengono curate, accudite quasi, rivoltate regolarmente e sottoposte a spugnature di acqua e sale per favorire lo sviluppo della microflora. Per il taleggio si parla di maturazione centripeta, ovvero dalla crosta verso l’interno: i batteri di superficie formano la crosta e il processo di maturazione avanza poi verso il cuore della forma. La stagionatura minima è di 35 giorni può prolungarsi fino due mesi, per un formaggio dal gusto più persistente.
Matrimoni di gusto
Il taleggio ha un sapore unico, aromatico e persistente. Ricorda tutti i profumi del sottobosco e ha un retrogusto tartufato che lo rende ancor più interessante. La consistenza è fondente e piacevolissima al palato.
Gli abbinamenti sono infiniti, ma, considerato che questo formaggio si scioglie perfettamente, è molto apprezzato nella preparazione di primi, risotti in particolare. Sta benissimo con zucca e radicchio tardivo, assecondando la dolcezza della prima e contrastando la punta amara del secondo.
È ottimo con i funghi grazie anche alla nota tartufata che lo contraddistingue. Va benissimo per quiche, sformati e torte salate. È eccezionale nelle lasagne, con la polenta bergamasca, con cui ha in comune la zona d’origine, e sulla pasta al forno. Perfetto per la fonduta, ma è delizioso anche al naturale, in accompagnamento con della frutta fresca, meglio pere e uva.
Insomma, il taleggio dop è un formaggio che è un concentrato di gusto e tradizione, molto versatile e perfetto per ogni portata. Un gusto eccellente, per un formaggio che è davvero uno dei fiori all’occhiello di tutto il panorama caseario italiano.
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