Oggi parliamo dei capperi di Pantelleria, piccoli ma ricchissimi di sapore. Ma c’è di più, scopriremo anche cucunci, tenerumi e il capperificio che porta la tradizione pantesca nel mondo. Pronti a partire?
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La mortandela: storia di un’eccellenza
La mortandela è un prodotto che sa di montagna. Basta una fetta per farsi trasportare in Val di Non dove, tra meli e castelli, tradizione e artigianalità regnano ancora incontrastate.
Attenzione, però, ché il nome può trarre in inganno. No, non ho detto mortadella, l’insaccato di Bologna, questa è tutta un’altra storia.
In comune le due hanno - forse - solo l’origine del nome, dal latino mortarium, mortaio, attrezzo con cui veniva tritata la carne. In realtà c’è anche chi dice che non condividano neppure quello, dato che mortadella deriverebbe da myrtatum, mirto in latino, spezia con cui si usava insaporire le carni prima di insaccarle.
Come è nata la mortandela?
Ma veniamo a noi. Quella della mortandela è una storia unica e irripetibile. Inizia con i contadini, che acquistano un maialino alla Fiera dei Santi, il primo di novembre. Il maialino viene nutrito con crusca, patate, fieno e gli scarti degli ortaggi destinati alla tavola.
Poi, il dicembre dopo, la macellazione. Con le parti nobili si facevano speck, coppe e pancette. Con gli avanzi degli altri salumi – perché di questo si tratta – si faceva la mortandela.
Gola, cuore, polmoni, lingua, fegato: del maiale, si sa, non si butta via niente. I vari tagli e ritagli venivano pestati nel mortaio, speziati con pepe (poco perché costava parecchio), cannella, aglio e fiori di garofano.
Poi, si dava la forma a questo impasto. A mano, una per una, si prelevavano delle “polpette” da circa 200 grammi, che venivano compattate, schiacciate leggermente e quindi avvolte nell’omento.
Non nel budello naturale, destinato ai salumi più nobili, ma nell’umile omento, la rete costituita da venature di grasso che serve a tenere i visceri al loro posto. Detta così non è il massimo, ma sono sicura che all’assaggio vi ricrederete. Eh sì, perché la mortandela si mangia tutta, carne e rete!
La mortandela è sempre stata grande nel gusto ma piccola nella stazza. Indovinate il perché? Facile, i contadini, i pastori e i malgari potevano infilarla in bisaccia e avere una scorta di energia e gusto sempre a portata di mano.
Come si fa oggi la mortandela?
Oggi la mortandela viene preparata solo con tagli nobili del maiale, come spalla, pancetta, rifilatura di coscia e coppa. Alla carne macinata vanno aggiunte le spezie, in genere pepe, cannella, pimento, coriandolo e aglio.
Una volta divisa in “polpette” – procedimento che viene ancora svolto interamente a mano – la mortandela viene avvolta nell’omento precedentemente ammollato in acqua tiepida e lasciata asciugare su assi di legno.
È il momento dell’affumicatura, tradizionalmente con legno di faggio e bacche di ginepro. L’aroma del fumo permea la carne, rendendola ancora più saporita, intensa e aromatica.
E la storia non è ancora finita, perché si passa alla stagionatura. Si va da una settimana ai due mesi di affinamento. Più è fresca e più è morbida, ma più a lungo stagiona, più diventa compatta al taglio e ricca di aromi.
Abbinamenti e idee golose
La mortandela stagionata, al contrario di quella fresca, solitamente non si utilizza in cottura. Il modo migliore per gustarla è così com’è, da sola o in un tagliere. Per un antipasto tipicamente trentino, mortandela stagionata, puzzone di Moena, cetrioli in agrodolce e un bel calice di teroldego.
La mortandela fresca, invece, è eccezionale alla griglia e accompagnata dai tortei di patate, frittelle di patate tipiche della zona.
Strepitosa anche insieme alla polenta, con i crauti o – abbinamento super tradizionale – con il tarassaco cotto. Può insaporire minestre, risotti e non può certo mancare nella classica zuppa d’orzo trentina.
La nostra scelta: i Fratelli Corrà
Adesso che sapete cos’è la mortandela e come si fa, la sua storia, la sua tradizione e il suo utilizzo in cucina, possiamo dirvi come abbiamo scelto la migliore.
Per la nostra dispensa abbiamo selezionato quella dei Fratelli Corrà, che dal 1850 producono eccellenza. Siamo a Smerano, nel cuore della Val di Non, più i metri di altitudine (1.011) che gli abitanti.
E questa è l’attività di produzione di salumi più antica del Trentino, tramandata di padre in figlio da ormai 5 generazioni.
Il punto forte di questa azienda? Sicuramente il fatto di possedere un macello. Le carni locali, rigidamente selezionate, vengono trasformate in proprio nei tipici, eccezionali, salumi di montagna.
Qui si parla di tradizione di famiglia, ricette che si passano di mano, lavorazioni manuali. Il territorio trentino, al confine tra i sapori tipicamente italiani e quelli della gastronomia austriaca e tedesca, viene celebrato con i migliori prodotti tipici.
Tra questi, abbiamo selezionato il fiore all’occhiello dei Fratelli Corrà, la mortandela affumicata Riserva Roen, prodotta in quantità limitate, lavorata a mano e stagionata 40 giorni.
La mortandela trentina non è solo un salume dalla tradizione antica, è la tradizione del salume. Dal riutilizzo degli scarti del maiale alla creazione di un prodotto nobile e ricercato, ecco la più bella immagine della nostra cultura gastronomica.
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