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Alla scoperta del quinto gusto
Ti ricordi quando a scuola si studiavano i cinque sensi? E quando si arrivava al gusto, il disegnino della lingua con le diverse zone di percezione? La maestra diceva che sulla punta si percepiva il dolce, un po’ più indietro il salato, ancora più indietro l’acido e sul fondo l’amaro.
Scordato vero? Bene, tanto era tutto (o quasi) sbagliato. Eh sì, perché studi recenti hanno dimostrato che tutta la lingua sente tutti i sapori - e comunque bastava un pizzico di sale sulla punta della lingua per dimostrarlo.
Ma soprattutto, udite udite, i gusti fondamentali non sono quattro ma cinque (anzi, c’è addirittura chi dice sei considerando l’oleogusto, ma questo è un altro discorso). Ma allora, qual è questo quinto gusto che era sfuggito alla scienza (e alla maestra)? Umami ti dice niente?
Umami, storia di un gusto brevettato
Il quinto gusto si chiama umami - in giapponese saporito, sapido - ed è stato scoperto da Kikunae Ikeda, professore di chimica alla Scuola di Scienze dell’Università Imperiale di Tokyo.
Nel 1899, il giovane Kikunae vince una borsa di studio presso l’Università di Lipsia. Studia con il professor Wilhelm Ostwald, poi premio Nobel, e rimane affascinato dallo stile di vita dei tedeschi, ma soprattutto dalla loro stazza fisica e, da bravo scienziato, ne ricerca la ragione primaria nel cibo.
Assaggia per la prima volta pomodori, asparagi, carne stagionata e formaggi, alimenti praticamente sconosciuti nel Giappone di fine ‘800. E capisce che oltre a dolce, salato, acido e amaro c’è molto di più, un gusto ancora tutto da scoprire.
Nel 1901 torna in Giappone e inizia a sfruttare la ricerca scientifica per migliorare le condizioni di vita del popolo. Proprio a questi anni risale, tra le altre cose, la scoperta del sistema per produrre il sale attraverso l’evaporazione dell’acqua di mare.
La scoperta che ha cambiato il mondo del gusto
Nel 1907, poi, l’illuminazione. La moglie Tei porta a casa un fascio di alghe per preparare il brodo dashi, uno degli ingredienti centrali della cucina giapponese. Kikunae assaggia le alghe e ha come un flashback di tutti i gusti assaggiati in Germania, quella carne stagionata, quei formaggi così diversi dai cibi orientali.
Tutto è chiaro: allora esiste davvero un altro gusto, diverso dai quattro conosciuti! Lo scienziato si mette subito all’opera e riesce a isolare l’acido glutammico, l’elemento centrale del gusto delle alghe.
Ma non basta, perché Kikunae vuole commercializzare un condimento umami per rendere accessibili a tutti i giapponesi i preziosi nutrienti in esso contenuto. Prova e riprova, alla fine sviluppa il metodo per produrre il glutammato monosodico, un condimento a base di glutammato.
Il 25 luglio 1908 l’approvazione del brevetto: nasce ufficialmente l’umami. Il riconoscimento ufficiale della comunità scientifica, però, arriva solo nel 1997 in occasione dell’International Symposium on Olfaction and Taste di San Diego, 61 anni dopo la morte di Ikeda.
La cosa più strana? Scoperta nel 1908, riconoscimento ufficiale nel 1997, utilizzo nelle cucine tradizionali da almeno due millenni. Hai mai sentito parlare di garum? È una salsa fermentata a base di interiora di pesce utilizzata dagli antichi Romani, ne parlano Apicio, Columella, Petronio e Seneca tanto per fare due nomi… Ed è il perfetto esempio di gusto umami!
Alimenti umami
Abbiamo parlato di alghe, carne stagionata, pesce fermentato e formaggi tedeschi, ma dove altro lo ritroviamo questo gusto umami?
L’esempio classico è il dado da cucina, preparazione proprio a base di glutammato monosodico, ma anche i frutti di mare, i molluschi, i funghi soprattutto secchi, l’aceto balsamico, la salsa di soia e il Parmigiano Reggiano stagionato sono campioni perfetti per provare l’umami.
Tutti prodotti eccezionali, non c’è dubbio, ma il nostro preferito rimane l’aglio nero. Attenzione, non è una varietà diversa, ma il risultato della fermentazione del classico aglio bianco. Stupito? Ora ti spiego tutto.
Aglio nero, un concentrato di gusto
L’aglio nero è utilizzato moltissimo nelle cucine coreane, tailandesi e giapponesi. Si può aggiungere al ramen, al pad thai o al curry rosso, ma anche utilizzare in ricette nostrane per una nota di gusto in più.
Il nostro aglio nero preferito è quello di Umami, un nome una garanzia. Si tratta di aglio bianco polesano DOP maturato e fermentato in modo totalmente naturale per minimo un mese in ambienti a temperatura e umidità controllate.
Sia chiaro, parliamo di un prodotto che è eccezionale all’origine. L’aglio bianco polesano, coltivato tra il Po e l’Adige già dai Romani, ha un profumo molto più delicato dell’aglio normale e un gusto intenso ma non pungente, per non parlare delle straordinarie caratteristiche nutrizionali.
Fermentando, l’aglio perde tutta l’allicina, diventa più digeribile senza lasciare cattivi odori in bocca e acquista una texture morbida e vellutata. Cambia, soprattutto, il gusto: viene fuori tutto il sapore umami che ricorda l’aceto balsamico e la salsa di soia.
Eccezionale in purezza, perfetto in crema e come insaporitore del sale, l’aglio nero è un prodotto da veri gourmet che può esaltare il sapore di carne, formaggi, pesce e verdure.
Umami in tavola
Ed ecco qualche idea per portare in tavola il vero gusto umami, e con un prodotto come l’aglio nero Umami basta davvero poco a creare un piatto strepitoso.
Partiamo dall’aglio nero intero. Schiaccia un paio di spicchi e usali per un bel piatto di spaghetti aglio (nero), olio e peperoncino. In alternativa, puoi evitare il piccante e aggiungere gamberi crudi, burrata o pomodorini confit.
La crema di aglio nero, invece, è già pronta per essere spalmata su una bella bruschetta. Sopra ci puoi mettere una fettina di lardo, della burrata e due filetti di acciughe, dei calamari stufati o semplicemente del pomodoro fresco a cubetti.
E che dire del sale aromatizzato all’aglio nero? È perfetto per aggiungere giusto un pizzico di umami a tutte le tue ricette, da un semplicissimo uovo al tegamino a un pesce al forno, da una teglia di verdure a una bella bistecca alla fiorentina.
Umami, ma come facevamo senza?