Oggi parliamo dei capperi di Pantelleria, piccoli ma ricchissimi di sapore. Ma c’è di più, scopriremo anche cucunci, tenerumi e il capperificio che porta la tradizione pantesca nel mondo. Pronti a partire?
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Formaggi d’alpeggio: bontà ad alta quota
Tra tutti i formaggi italiani ce ne sono alcuni che spiccano per il loro gusto inimitabile, in cui si sente tutta la fragranza delle erbe foraggere dei pascoli alpini. Stiamo parlando dei formaggi d’alpeggio.
Siamo in cima alla penisola italiana, dove le Alpi si srotolano in vette che superano i 4000 metri. La natura, quassù, è incontaminata. Genziane, campanule, trifogli, rododendri ed erbe alpine donano al latte, e quindi al formaggio, un gusto assolutamente inconfondibile.
Alpeggio e monticazione
Verso metà giugno, le mucche iniziano la monticazione, ovvero la risalita sulle pendici alpine. Nel periodo estivo, infatti, le mandrie sono libere di pascolare in quota, nei prati ricchi di fiori ed erbe profumate vicini alle malghe.
Più che una routine, un rito. Dopo un inverno in stalla nutrite a fieno, le mucche partono alla conquista dei prati più buoni, sempre in alta quota.
Cambiano le stagioni e con esse i ritmi, anche quelli dei malgari e dei casari. Vivere in malga non è certo il massimo del comfort. Sveglia prima dell’alba, centinaia di vacche da spostare sui pascoli la mattina e in malga la sera, da mungere due volte al giorno.
Così come la monticazione segna l’inizio della bella stagione, la transumanza rappresenta il ritorno a fondo valle, delle mucche e degli uomini. Quando le giornate si accorciano e le temperature scendono, è ora di abbandonare i pascoli in alta quota.
La stagione è finita, ma il formaggio più buono (forse) ancora no. I profumi delle erbe e dei fiori alpini danno vita a queste forme deliziose. E non sono mai uguali, perché non ci sono due prati uguali in tutto l’arco alpino.
Castelmagno d’alpeggio
Una perla rara nell’immane panorama dei formaggi italiani. Il Castelmagno d’alpeggio si fa solo d’estate, e solo in alpeggi oltre i 1600 metri di quota. Le vacche allo stato brado mangiano quello che la natura offre, assolutamente esclusi mangimi industriali o insilati.
L’ideale sarebbe che ogni malgaro utilizzasse solo il latte delle proprie vacche, come accade a La Meiro. Il loro Castelmagno d’alpeggio è una delizia assoluta, premiato con l’Oscar di Miglior Formaggio di Montagna d’Italia e all’Italian Cheese Award.
Il segreto? Sicuramente un latte straordinario, così straordinario che viene lavorato da crudo, seguendo solo metodi tradizionali. Per produrlo ci vuole un bel po’, ma ne vale davvero la pena.
Inizia tutto quando al latte appena munto viene aggiunto caglio di vitello. Si forma così la cagliata, che viene rotta alle dimensioni di un chicco di mais. Dopo un breve passaggio in caldaia, la cagliata viene estratta e posta su un telo, dove resta per almeno 18 ore a spurgare di tutto il liquido in eccesso.
Una volta pronta, viene trasferita in appositi contenitori e reimmersa nel siero della lavorazione precedente per almeno un paio di giorni. Dopodiché, viene di nuovo rotta a cubetti, tritata, salata, rimessa nei contenitori e pressata. Inizia la stagionatura. Il periodo minimo è 60 giorni, ma le forme migliori affinano molto più a lungo.
La Meiro è la culla di molte di queste forme, che hanno la fortuna di maturare in grotte naturali con temperatura a 10° e umidità al 90% costanti in tutto l’anno. Stiamo parlando di un formaggio DOP e presidio Slow Food, un prodotto, insomma, come ben pochi altri.
Il suo gusto è sapido, con spiccate sensazioni floreali. Il sottocrosta ha un sapore più intenso rispetto al cuore interno e può diventare cremoso e addirittura erborinato. Eccezionale con il miele di tiglio, dà il meglio di sé su gnocchi, polenta e risotti.
Fontina d’alpeggio
Siamo in Val d’Aosta, e qui mucche e pascoli certo non mancano. La Fontina ha ricevuto il riconoscimento DOP nel 1995 e da allora la sua produzione ha conosciuto una crescita notevole. Ogni anno vengono prodotte in tutto 400.000 forme, tra cui la Fontina d’alpeggio, che si fa solo in estate, tra i 200 alpeggi riconosciuti dal Consorzio.
Per fare una fontina ci vogliono 100 litri di latte, e che latte! Le mucche, in estate, vivono allo stato brado sui pascoli alpini, cibandosi di erbe spontanee e fiori. Per questo la fontina d’alpeggio è una vera delizia dall’aroma unico.
Anche qui, lavorazione lunga e attenta. Si parte dal latte crudo, che si trasforma in cagliata attraverso l’aggiunta di caglio di vitello. Rotta la cagliata si passa alla cottura a 48° e quindi all’estrazione e spurgatura.
La pasta viene messa nelle apposite fascere e pressata per eliminare ogni traccia di siero residuo. Una volta pronta, inizia la stagionatura, che da disciplinare deve essere almeno 80 giorni. I primi 30 giorni le forme vengono regolarmente salate e spazzolate: è a questo passaggio che si deve la caratteristica crosta arancione. Le forme stagionano su tavoli di abete rosso in grotte naturali, dove la temperatura non supera i 15° e l’umidità non scende sotto l’85%.
Ai piedi del Monte Bianco troviamo la fontina più buona. Il caseificio Panizzi si trova in un ambiente naturale straordinario, così come straordinari sono i suoi formaggi. Questa fontina è perfetta, c’è poco da dire. Intensa e aromatica, con la tipica occhiatura irregolare, sa di montagna, di natura e di tradizioni preziose.
I formaggi italiani sono tanti, tantissimi. I formaggi d’alpeggio, tra tutti, sono quelli più legati ai ritmi della natura e al ciclo delle stagioni. La monticazione e la transumanza sono riti millenari, da proteggere e tutelare.
La bontà di un formaggio dipende dal gusto del latte. E cosa può esserci di meglio dei formaggi d’alpeggio, così ricchi di profumi e aromi? Ne basta solo un pezzettino per portare sulle nostre tavole tutto il gusto della montagna.
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