Oggi parliamo dei capperi di Pantelleria, piccoli ma ricchissimi di sapore. Ma c’è di più, scopriremo anche cucunci, tenerumi e il capperificio che porta la tradizione pantesca nel mondo. Pronti a partire?
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Il cotechino, immancabile sulla tavola delle feste
Il cotechino è un insaccato tipico della tradizione modenese prodotto con tagli di carne non esattamente nobili e una bella percentuale di cotenna. Per fortuna oggi si trova precotto, perché queste carni sono molto ricche di tessuto connettivo e richiedono una lunghissima cottura.
Il cotechino però va oltre la categoria di semplice alimento, è il simbolo dell’Italia che festeggia. E non c’è niente che riscaldi il cuore e lo stomaco più di una bella fetta di cotechino gustato in famiglia.
Parente dello zampone - diverso per l’insacco ma non per il contenuto - il cotechino ha una storia antichissima. Come tutti gli insaccati, è nato dalla necessità di conservare la carne del maiale e farne scorta per l’inverno. Un cibo povero, quindi, che abbondava sulle tavole dei contadini insieme a minestre e zuppe di legumi.
Poi, nel corso dei secoli, ha conosciuto il successo e oggi il cotechino è ufficialmente riconosciuto il re della tavola delle grandi occasioni. Attenzione però, stiamo parlando del cotechino artigianale, prodotto con carne di prima qualità da allevamenti controllati, insaccato e stagionato come tradizione comanda.
Il cotechino artigianale e quello industriale sono diversi quanto il giorno e la notte. Tanto il primo è buono, succoso, avvolgente e ricco di sapore, quanto il secondo può essere veramente viscido e insapore. Personalmente, ritengo che il cotechino sia in assoluto il prodotto in cui si sente di più la differenza tra una lavorazione artigianale e una “di fabbrica”.
Ma qual è la storia di questo cotechino artigianale, buono buono e che ci piace tanto? E come possiamo portarlo in tavola in alternativa alla classica abbinata cotechino-lenticchie?
La storia del cotechino
Il cotechino è un pilastro della cultura gastronomica italiana e vanta una storia secolare. Come tutti gli insaccati ha origini umili: il maiale era un bene prezioso e nulla doveva andare sprecato. E tutto doveva durare il più possibile, per assicurare una buona scorta per i mesi di magra. La soluzione? Insaccare la carne nel budello di maiale e farla asciugare per consumarla al bisogno.
La carne con cui si faceva il cotechino era la più deperibile. A differenza di prosciutti e salami, non si poteva certo conservare a lungo e proprio per questo il cotechino era il primo che veniva mangiato. Considerando che il maiale si macellava a dicembre e l’asciugatura richiedeva una decina di giorni, era pronto proprio per Natale. Ed è semplicemente così che è diventato il piatto principe delle feste e della tavola del cenone.
La prima apparizione del cotechino è del 1745, in un calmiere modenese che riportava il prezzo massimo di vendita. Pensare che da lì è arrivato fino a Pellegrino Artusi sembra incredibile, eppure è proprio quello che è successo. Nel suo “La scienza in cucina e l’arte del mangiar bene” del 1891, Pellegrino dedica all’insaccato modenese per eccellenza la ricetta numero 322.
Nel mezzo, la diatriba tra Ferrara e Modena per la primogenitura del cotechino. Nel 1772, l’intellettuale ferrarese Antonio Frizzi propose un’equa spartizione tra le due città: Ferrara poteva vantare il cotechino, mentre a Modena rimaneva lo zampone.
È andata a finire, però, che Modena ha vinto a mani basse e oggi è riconosciuta la patria di entrambe le eccellenze. Se proprio vogliamo essere precisi, poi, lo zampone è nato a Mirandola, ma di questo magari parliamo un’altra volta.
Negli ultimi decenni, la produzione del cotechino si è orientata su un “alleggerimento” della ricetta e, soprattutto nelle produzioni industriali, la cotenna è molto meno presente di un tempo. Al suo posto, però, ci sono carni più grasse, nitriti e glutammato. Insomma, non sempre l’evoluzione va dalla parte giusta.
Con le lenticchie, ma non solo…
Impossibile parlare del cotechino artigianale senza tirare in ballo le lenticchie. È un abbinamento eccezionale, certo, classico e tradizionale, ma perché non provare anche qualcosa di nuovo? Perché non proporre questo prodotto eccezionale anche in altri periodi dell’anno, magari con ricette più creative e innovative?
Per esempio, con le zuppe sta davvero benissimo. Per una ricetta elegante, servitelo su una vellutata di patate al tartufo nero, una vera delizia in cui si mescolano sapori poveri e ricchissimi, tradizioni contadine e gusti raffinati.
Poi, altra idea geniale, usarlo come ragù per condire pasta, risotti, ravioli o gnocchi. Ve lo consiglio proprio con gli gnocchi, di semolino però, meglio ancora se li ripassate in forno con una dose generosa di Parmigiano Reggiano.
Per un aperitivo sfizioso, sbriciolatelo su dei crostini di polenta fritta o servitelo a dadini croccanti dopo averlo fatto dorare in padella. Lo sapete che lo potete usare anche per farcire torte salate, sformati e pasticci? Eccezionale soprattutto con la verza e il cavolo nero.
Insomma, con il cotechino artigianale non si sbaglia mai. E se non vi fidate di me, almeno date retta al buon Tigronio Bistonio, che ne “Gli Elogi del Porco” del 1761 celebrava così la sua bontà:
«Ah, cotichin, null'altra a te somiglia
in fragranza e in sapor vivanda eletta!
Quando tu giungi inarca ognun le ciglia.
I grati effluvi ad assorbire in fretta
si spalancano i tubi ambo nasali
e un “Oh” comune il godimento affretta».
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