Oggi parliamo dei capperi di Pantelleria, piccoli ma ricchissimi di sapore. Ma c’è di più, scopriremo anche cucunci, tenerumi e il capperificio che porta la tradizione pantesca nel mondo. Pronti a partire?
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I formati di pasta più tipici per le grandi ricette tradizionali
Metti insieme la pasta di Gragnano e le grandi ricette della tradizione: il sogno di ogni buongustaio, italiano ma non solo.
Perché per avvicinarsi ai piatti sacri della nostra cucina serve conoscenza, ma soprattutto dei prodotti di assoluta qualità. Se decidiamo di replicare uno dei grandi primi piatti italiani, non possiamo certo farlo con una pasta qualsiasi.
La scelta non può che ricadere sulla pasta di Gragnano, una delle eccellenze della nostra gastronomia, conosciuta e amata a livello planetario. Perché è in questo piccolo paesino in provincia di Napoli - meno di 30.000 anime - che si produce la pasta più buona del mondo.
Gragnano, dai mulini all’IGP
L’abbiamo già detto, per quanto riguarda la pasta, tutto ebbe inizio in Campania. Se Gragnano è conosciuta come la Città della Pasta, state sicuri che un motivo c’è!
Il grano, a Gragnano, si macina dal Medioevo. Se ancora non l’avete fatto, organizzate una bella gita nella Valle dei Mulini: potrete ammirare gli antichi mulini ad acqua sul torrente Vernotico, l’inizio di una storia unica, tutta da gustare.
Nell’Ottocento aprono i primi pastifici industriali. Nel 1845 il re di Napoli Ferdinando II di Borbone decide che per lui la pasta è solo quella di Gragnano: da allora, a corte, solo quella potrà essere cucinata. Nel 1855 viene costruita una linea ferroviaria tra Napoli e Gragnano per gestire il commercio di pasta.
Nel Novecento, la crisi. Molti pastifici industriali aprono anche al Nord, e sono pastifici più competitivi dal punto di vista della velocità e della resa, certo non della qualità.
Gragnano resiste e punta sulla qualità della pasta. Niente compromessi: i torni rimangono manuali, la trafilatura lenta, rigorosamente al bronzo.
Il 23 novembre 1980 Gragnano viene distrutta dal terremoto dell’Irpinia. Solo 8 pastifici sopravvivono ma riescono, quasi miracolosamente, a risollevare le sorti di una città data per persa.
Nel 2003 nasce il Consorzio di Gragnano Città della Pasta e nel 2013 la pasta di Gragnano ottiene il Marchio di Indicazione Geografica Protetta.
Una strada lunga e tortuosa, dai mulini in pietra al successo mondiale. Passando per infiniti piatti di pasta.
Pasta di Gragnano, un nome una garanzia
Abbiamo parlato di Gragnano e della sua storia, ma non basta certo questo per fare un prodotto davvero eccezionale. Ma allora, cos’ha di tanto unico la pasta di Gragnano? Perché lei, e lei soltanto, può valorizzare le grandi ricette della tradizione?
Diciamo subito una cosa: prima il tempo in cucina non era un problema. Nessuno cercava “ricette in 5 minuti” o “piatti pronti in un attimo”. Per fare una ricetta, ci voleva esattamente il tempo che ci voleva, né più né meno. E andava bene così, la fretta non faceva parte della routine quotidiana.
Se pensate di fare una ricetta lunga, elaborata, un vero pezzo di storia, con una pasta non all’altezza, non ci siamo proprio.
E poi la pasta di Gragnano è oggettivamente più buona. Sarà il grano italiano, la trafila al bronzo, l’essiccazione lenta… C’è poco da fare, come la pasta di Gragnano c’è solo la pasta di Gragnano.
Bucatini all’amatriciana
I bucatini sono spaghettoni con un buco in mezzo, inventati, a quanto pare, in Sicilia durante il Medioevo. I pastai di allora avvolgevano la pasta intorno a un bastoncino per velocizzare l’essiccazione e favorire una cottura ottimale. Il bastoncino veniva poi rimosso lasciando la basta, per l’appunto, bucata.
Ma il successo vero i bucatini l’hanno conosciuto nel Lazio, quando hanno incontrato il guanciale di Amatrice e il Pecorino di Amatrice ed è nata la Gricia, oppure, nella successiva versione con il pomodoro, l’Amatriciana.
Ziti alla napoletana
Gli ziti lisci sono uno dei formati di pasta più tipici della Campania. Il loro nome richiama quello delle zite, le ragazze non ancora sposate che abbandonavano definitivamente questa condizione il giorno del matrimonio. E proprio gli ziti erano il piatto immancabile dei pranzi nuziali.
Un’altra versione dice che il termine ziti si rifaccia in realtà alle zitelle. Solo loro infatti, non avendo un marito a cui pensare, avevano il tempo di cucinare quello che è il sugo per antonomasia degli ziti, il ragù alla napoletana.
Per fare il ragù alla napoletana ci vuole una giornata, ore e ore di cottura e almeno 5 tagli di carne diversa, senza contare che prima vanno fatte le braciole, involtini ripieni di aglio, prezzemolo, pecorino, parmigiano e – nella tradizione – uvetta e pinoli.
Un lavorone, siamo onesti, e pensare di accompagnarlo con qualsiasi pasta che non sia quella di Gragnano è un vero affronto.
Paccheri al coccio
Che non è il coccio che si intende in Toscana, ma la gallinella di mare, pesce tanto buono quanto difficile da pulire. E lische, testa e carcassa non vanno buttate via, ma usate per preparare un bel brodo di pesce, che useremo per insaporire la pasta.
La polpa del pesce va tagliata a pezzetti e messa in padella con un filo d’olio, uno spicchio d’aglio e, se vi piace, un po’ peperoncino. Sfumate con vino bianco, aggiungete il brodo di pesce e i pomodorini tagliati a metà, fate andare per altri 5 minuti e il sugo è pronto.
Curiosità: lo sapete perché i paccheri si chiamano così? Il nome deriva dal greco pan, tutto e keir, mano, ovvero qualcosa come “schiaffo a mano aperta.” Come mai? Perché quello è il rumore che i paccheri, quando sono belli conditi, fanno quando cadono nel piatto.
La pasta di Gragnano è l’unica opzione per piatti di questo livello. Ma non vi preoccupate, se cercate piatti meno impegnativi, sappiate che la pasta di Gragnano è così buona che vi basterà un semplicissimo sugo al pomodoro fresco oppure un intramontabile aglio, olio e peperoncino per un piatto eccezionale!
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